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Da Socializers a BTREES: la storia di un rebranding fruttuoso!

Primo piano su una pianta che una persona tiene in mano

Identità significa consapevolezza, l’anima di un’azienda prende infatti forma al meglio intorno ad una brand identity condivisa e ben definita. Da questa riflessione abbiamo, nell’autunno del 2016, deciso di finalizzare un processo di rebranding – da Socializers a BTREES – durato diversi mesi. Un’evoluzione naturale, ma fondamentale, di cui vi abbiamo già raccontato un po’.

Abbiamo nel frattempo chiesto a Marilena Florio, Creativa e Art Director, e a Davide Paganotti, nostro Creative Designer, di spiegarci meglio questo cambiamento.

Perché si è deciso per il rebranding?

Davide: Il brand non ci rispecchiava più al 100% e nella nostra visione evolutiva avevamo bisogno di un’identità forte e coerente, una nuova brand identity.

Marilena: Ci siamo chiesti quali fossero le esigenze di comunicazione presenti e future e ci siamo resi conto che l’azienda non assomigliava più a se stessa. L’azienda era cresciuta troppo in fretta e quindi bisognava guardare dentro, nel profondo, nell’anima: individuare una nuova direzione futura con uno sguardo al passato e ovviamente al presente.

Come si è svolto il processo di rebranding? Ricordate qualche aneddoto in particolare?

D: Abbiamo deciso di affidarci ad un’esperta come Marilena, affidandole il processo di rebranding, collaborando fianco a fianco e supportandoci a vicenda.

M: È stato un processo di matrice “esperienziale”, durato da gennaio 2015 ad ottobre 2016, che ha coinvolto in maniera diretta la mia persona e i soci dell’azienda. Pensando a noi, abbiamo ideato processi di comunicazione creativa (‘lateral thinking’), abbiamo svolto un’analisi di marketing e dei “giochi” sui talenti: tutto sia a livello di singoli che di team.
L’esercizio che meglio ricordo è quello “della fiducia”. C’era Carlo (Robiglio, nostro Enterprise Advisor NdR) che considerava nuova e insolita questa maniera di partecipare, ma si è decisamente lasciato coinvolgere e la sua proattività mi è parsa insolita per un manager di alto livello come lui.
Sono rimasta piacevolmente sorpresa.
Inoltre è stato bello vedere uno dei soci (non faccio nomi…) decisamente affezionato al vecchio brand, spaventato dall’idea di abbandonare ciò che era stato raccolto e lasciarsi andare alla nuova avventura. Ancora più bello è stato però ricevere, a poche settimane dal “lancio” un feedback entusiasta, positivo, che mostrava una nuova, facile e vera identità.

Che competenze servono per fare un rebranding?

M: Sicuramente oltre alle skill personali si deve sapere che fare rebranding significa ideare un nuovo posizionamento: se non si sa cosa è una brand identity, se non si hanno esperienza e competenza non si può fare nulla.
Non basta certamente avere le “sole” competenze grafiche per ideare un riposizionamento valido fin dal principio: si deve pensare ad una strategia il cui riflesso sia l’anima stessa del rebranding.

D: L’azienda, ancora prima dei clienti, deve essere capace di cogliere il passaggio.
Parliamo di un rebranding non parziale, ma totale: per dirlo con una metafora, non abbiamo traslocato da una stanza all’altra, ma ci siamo spostati di edificio, ideandone un altro più adeguato ai tempi attuali.

M: Sembrerà strano, ma servono competenze anche per individuare, all’interno di un team di persone, le singole competenze. Tutto quello che ora è messo nero su bianco, tutti i servizi che vengono offerti, sono il risultato di un’analisi della realtà aziendale volta a valorizzare le competenze di tutti con un’autenticità non scontata, in maniera trasparente; non è banale infatti che le aziende mettano in pole position le singole persone, è sicuramente un plus!

D: Anche i lavori a livello di immagine sono andati avanti su quest’ottica, senza inventare nulla, ma cercando di tirare fuori chi siamo e cosa siamo, in maniera autentica, vera. I nostri valori, ciò che ci accomuna, gli oggetti, le passioni, i difetti, senza nascondere nulla, nessuna Wonder Woman e nessun Superman, solo la verità e la semplicità che ci caratterizzano. Tutte le immagini e i video usati per la nostra brand identity, online e offline, sono frutto dello studio dei concetti da esprimere per rispecchiarci al meglio. Il fotografo Matteo Zin ed io abbiamo lavorato assieme per la loro realizzazione partendo da concept disegnati su carta. Le poche foto acquistate da stock sono state scelte per essere in linea con le altre e sono state trattate perché avessero la stessa color.

Che opportunità può dare un rebranding?

M: Un mondo! È l’infusione di nuova linfa interna ed esterna, una nuova mission, una nuova vision. Ideare strategie per affrontare altri settori di mercato con nuove idee, nuove persone e un differente modo di proporsi.

D: L’esempio più calzante? Il progetto, a cui abbiamo contribuito con il nostro ramo Design degli spazi, che c’è stato per Roveda lab. Che difficoltà e ostacoli ci sono? A livello economico, psicologico o di organizzazione…

M: Sicuramente far capire che un rebranding non dura 2 settimane, ma che un cambiamento a livello di DNA necessita di almeno qualche mese: si deve capire, elaborare, deve esserci voglia di fare. Non “basta” trovare un nome, un logo e un nuovo payoff. Serve innanzitutto una strategia di marketing chiara, autentica e coerente oltre ad una visual identity solida e sempre valida, altrimenti c’è il rischio di buttare via tutto.

D: È stato duro e faticoso. Era difficile non far trapelare notizie. L’effetto WOW siamo riusciti ad averlo perché il cambiamento atteso non era così forte, e invece il lavoro svolto si è riflesso nel risultato in maniera evidente. Il logo non è un disegno, è solo la punta di un iceberg che influisce a cascata su tutto: la comunicazione funziona in modo Top-Down, a partire dal logo, mentre il lavoro che c’è alle sue spalle è Bottom-Up. A livello economico ci sono invece da considerare il “costo” di un professionista e le risorse aziendali da investire (tempo, mente e braccia) affinché i valori dell’azienda emergano al meglio.

Per chiudere. Abbiamo parlato spesso di brand identity, ma cosa significa?

M: A dire il vero sarebbe meglio parlare di identità di marca. L’insieme di logo e payoff, ma anche di valori e costanti volti a determinare la percezione ed avvalorare la reputazione dell’azienda da parte del pubblico. Si deve creare un’affezione verso il marchio a 360 gradi. Considerando sempre che il logo è come un biglietto da visita: è un po’ come se il mondo guardasse dal buco della serratura, è la prima cosa che vede. Per BTREES si vede un albero: una realtà che nasce dai semi, cresce e si sviluppa tra rami, fiori e frutti.

M: Il Pay Off è l’UNIVERSO IN POCHE PAROLE (ANZI MENO), è anche la Vision, la Mission: MAKE IT FRUITFUL!

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